Shadowbox Effect

lunedì 28 ottobre 2013

Pisa: Eccezionale ritrovamento all'interno della tomba dell'Imperatore Enrico VII (Arrigo VII)

PISA – Nessuno avrebbe potuto immaginare che quel sepolcro di settecento anni conservasse ancora oggetti dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, il sovrano che Dante indica nella Commedia come il salvatore di quell’Italia «nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello!» divisa, alla deriva e oppressa. Ed invece i ricercatori, guidati dall’antropologo Francesco Mallegni, che hanno aperto la tomba che si trova nel Duomo di Pisa accanto alla Torre pendente, non hanno recuperato solo i resti del sovrano (che saranno analizzati) ma anche alcuni oggetti straordinari. Tra questi un grande telo di seta lavorato con i leoni imperiali, lo scettro,  la corona imperiale e il globo che l’imperatore teneva in mano; probabilmente uno dei ritrovamenti di epoca medioevale più importanti mai rinvenuti.

L’ANNUNCIO - La notizia è stata confermata durante l’apertura del convegno «Enrico VII, Dante e Pisa, a settecento anni dalla morte dell’imperatore e dalla Monarchia» che si è aperto giovedì mattina nella appena restaurata Sala delle Baleari di Palazzo Gambacorti, sede del Comune di Pisa. Il convegno è organizzato dai docenti universitari Marco Santagata, tra i massimi esperti mondiali di Dante e da Giuseppe Petralia, storico e dall’Opera del Duomo, l’organismo di studiosi che sovrintende ai monumenti di Piazza dei Miracoli.
IL SARCOFAGO - L’imperatore del Sacro romano impero morì prematuramente a 38 anni il 24 agosto del 1313 a Ponte d’Arbia (in provincia di Siena) e fu sepolto a Pisa. Il sarcofago di Enrico VII (conosciuto anche come Arrigo VII) è stato realizzato da Tino di Camaiano, allievo di Giovanni Pisano, nella cattedrale pisana. Fu poi in parte smantellato e danneggiato da un incendio alla fine del Cinquecento. Marco Gasperetti


mercoledì 18 settembre 2013

Mistero al Museo di Manchester: la statuina egizia che ruota da sola!!

Qualcosa di sinistro sta avvenendo nel Museo di Manchester, lasciando perplessi i responsabili della struttura: da qualche giorno, una statuina egizia di circa 25 centimetri, risalente a circa 1800 anni fa, ha misteriosamente cominciato a ruotare su se stessa nella vetrina nella quale è esposta.La statuina fu prodotta in antichità da un uomo chiamato Neb-Senu. Fu ritrovata in una tomba dell'antico Egitto e donata al Museo di Manchester nel 1933, dove è rimasta immobile per quasi 80.

Ma nelle ultime settimane, i curatori del museo sono rimasti sbigottiti quando hanno notato che la statuina esposta nella vetrina era rivolta sempre dalla parte sbagliata, costringendo i curatori ad aprire continuamente la teca e ridarle il giusto orientamento.

Gli esperti, allora, hanno deciso di monitorare la reliquia con una videocamera in time-lapse, rimanendo stupiti nel vedere che l'oggetto ruotava di circa 180 gradi senza che nessuno la toccasse. In basso è possibile vedere il video prodotto dai responsabili del museo.
“Un giorno ho notato che la statuina si era girata. Ho pensato che fosse strano, dato che sono il solo ad avere la chiave della vetrina”, spiega l'egittologo Campbell Price, uno dei curatori del museo.

“L'ho messa di nuovo nel verso giusto, ma il giorno dopo ho visto che era di nuovo voltata all'indietro. Abbiamo deciso di montare una videocamera in time-lapse, dato che ad occhio nudo non notavamo il movimento. Dal video si vede chiaramente che la statua si muove da sola”.

Gli egittologi pionieri che cominciarono ad esplorare le tombe nel 1920 erano a conoscenza delle leggende che narravano di maledizioni che avrebbero colpito chiunque avesse profanato una tomba di faraone.

Si dice che la maledizione di Tutankhamon abbia causato più di 20 morti tra gli archeologi. Per contro, la maledizione di Neb-Senu potrebbe risolversi in un inquietante grattacapo per i curatori del museo.

Ora gli scienziati si sono attivati per cercare di spiegare il fenomeno, tra ipotesi 'spirituali' e altre più di stampo 'razionale'.
“La statuetta fu ritrovata in una tomba, insieme alla sua mummia. I geroglifici sul retro chiedono di portare offerte ai suoi piedi, come pane, birra e carne”, continua Price. “In Egitto si credeva che se la mummia fosse stata distrutta, la relativa statuina sarebbe diventata il veicolo alternativo per lo spirito. Forse è questo che sta causando il movimento della reliquia”.
Ma, come riporta il Daily Mail, ci sono altri esperti, tra i quali il professor Brian Cox, un altro dei curatori, che si cimentano in spiegazioni più razionali, secondo le quali, sarebbero le vibrazioni dei passi dei visitatori a far ruotare la statuina.

Ma Campbell non è convinto: “Brian pensa che sia una questione di 'attrito differenziale' che viene a crearsi tra la superficie di pietra del ripiano della statua e il vetro della teca. Le vibrazioni sottili la farebbero ruotare. Ma la reliquia è sempre stata sul quel ripiano e non si è mai mossa in precedenza. E poi perchè dovrebbe muoversi descrivendo un cerchio perfetto?”.
Campbell Price è intenzionato ad andare in fondo alla faccenda, esortando il pubblico ad andare a verificare il fenomeno di persona. “Sarebbe bello se qualcuno fosse in grado di risolvere questo mistero”, conclude l'egittologo..




lunedì 25 febbraio 2013

Antichi egizi in America? lo proverebbero mais ed ananas!


Articolo di: Adriano Forgione


Durante il mio ultimo viaggio in Egitto ho scoperto alcuni particolari sfuggiti ai miei colleghi italiani e stranieri in grado di sovvertire la storia della navigazione. Secondo la versione ufficiale della storia, prima dell’arrivo di Colombo in America, nessuno era a conoscenza dell’esistenza del continente americano e le civiltà che si svilupparono prima del 1492 vissero in un “beato” isolazionismo ignare di grandi culture che sorgevano e collassavano sul suolo del continente oltreoceano. Esiste una versione alternativa però, definita Diffusionismo, che sostiene che le civiltà del Vecchio Mondo, già in antico sapevano dell’America, e con le sue civiltà commerciavano beni e scambiavano conoscenza. Esistono una serie di indizi archeologici e storici interessanti a sostegno che l’America fosse conosciuta prima di Colombo ma oggi possiamo avanzare l’ipotesi che già gli antichi egizi ebbero rapporti commerciali con l’America (forse vi giunsero con le loro navi, oppure ricevettero merci portate da altri popoli che avevano rapporti con i pre-colombiani). Tali indizi sono molto consistenti e li ho personalmente individuati tra reperti ufficiali conservati al Museo del Cairo. Nella sezione del museo destinata al periodo amarniano e al faraone Akhenaton vi è una teca con piccoli oggetti in faience trovati nelle tombe amarniane (1352-1295 a.C.). Alcuni sono certamente delle pigne ma due piccoli oggetti di colore verde, lunghi solo un paio di centimentri, riportano un lungo ciuffo di colore scuro. È chiaro e lampante che si tratti di ANANAS, in quanto le pigne non presentano tale ciuffo essendo un frutto di alberi di conifere e non un frutto di una pianta grassa che è originaria del Sud-America e portata in Europa ufficialmente solo dopo Cristoforo Colombo. Inoltre si osservi la direzione delle “scaglie”. In una pigna queste puntano verso il basso e ciò è ben riprodotto anche nelle pigne di faience egizie poste nella bacheca. Nell'ananas le scaglie puntano naturalmente verso l’alto e questo è quanto si vede dai due piccoli ananas di faience egiziani (ve ne è forse un  terzo, più grande, anch'esso di colore verde ma sembra aver perso il ciuffo). Il colore verde è naturale per gli anans colti acerbi. Dunque, cosa ci fanno degli ananas in Egitto se le culture d’Egitto e del Sud-America mai vennero ufficialmente a contatto?
L’unica risposta è che, per riprodurli così fedelmente, gli egiziani del periodo amarniano dovevano per forza di cose conoscere questo frutto, o per commerci diretti o indiretti. Nel secondo caso, qualcuno in America dovette comunque andarci per portarli con sé in Africa, dunque questi due ananas provano al di là di ogni ragionevole dubbio che l’America fu scoperta molto prima di Colombo. Furono gli egiziani? Non lo sappiamo ma questi reperti risalgono a circa 1300 anni prima di Cristo e sono osservabili oggi al Museo del Cairo.




 L’unica risposta è che, per riprodurli così fedelmente, gli egiziani del periodo amarniano dovevano per forza di cose conoscere questo frutto, o per commerci diretti o indiretti. Nel secondo caso, qualcuno in America dovette comunque andarci per portarli con sé in Africa, dunque questi due ananas provano al di là di ogni ragionevole dubbio che l’America fu scoperta molto prima di Colombo. Furono gli egiziani? Non lo sappiamo ma questi reperti risalgono a circa 1300 anni prima di Cristo e sono osservabili oggi al Museo del Cairo.
Un altro indizio è dato da alcune pannocchie di mais che, personalmente, credo di aver individuato tra i rilievi del tempio di Ramses II ad Abydo. Sulla parete interna destra del muro di cinta il dio del Nilo Api porta delle offerte. Due rilievi, uno successivo all’altro mi permettono di discutere la presenza di questa pianta americana da coltivazione tra gli egizi. Infatti in un rilievo Api porta dei pani, fichi, melograni, anatre e uva. Non c’è alcun dubbio che si tratti di uva. In quello successivo le offerte sono le stesse ma stavolta l’uva è stata sostituita da qualcosa di più allungato che di certo non è uva, né si tratta di pigne. Credo, anche se sono meno sicuro rispetto agli ananas del Museo del Cairo, che si tratti di mais. Sembra di ravvisarvi anche una delle classiche foglie allungate che ricoprono la spiga in quella a sinistra dell’immagine. L’uva, inoltre, come si evince dallo stesso bassorilievo posto di fianco sullo stesso muro, ha ben altro aspetto, molto più riconoscibile.


L'Uva è ben riconoscibile tra le offerte del dio Api (Tempio di Ramses II- Abydo - Foto © Adriano Forgione)




Nel pannello successivo l'uva è sostituita dal mais (Tempio di Ramses II - Abydo - Foto © Adriano Forgione)

Dunque , chi porto ananas e mais in Egitto se mai queste culture vennero a contatto? La risposta è solo una, non solo la storia della navigazione va riscritta, ma è l'intera storia della civiltà a dover essere oggetto di revisione.

giovedì 21 febbraio 2013

Questa si che è una vera Canagliata Archeologica!!


Vi anticipo, che sto per chiedervi uno sforzo davvero sovrannaturale: dovrete guardare un video tratto tratto dalla trasmissione "Mistero". 

Vi suggerisco qualche dritta in modo da salvare il più possibile la vostra sanità mentale: Saltate pure a piè pari  il pippone su Stonehenge, ma subito inizia la parte migliore del servizio: il megapippone sulla "Stonehenge Italiana", che si troverebbe in provincia di Brescia.

Da questo punto in poi la difficoltà per seguire il servizio sarà notevole e la vostra sanità mentale sarà messa a durissima prova, ma VI PREGOVIPREGOVIPREGO cercate di arrivare fino al punto in cui, l'esperto di archeologia misteriosa di turno, ci spiegherà perché è stata costruita la struttura oggetto del servizio.

Potete farcela....in bocca al lupo!!!!


http://www.video.mediaset.it/video/mistero/puntate/302683/stonehenge.html







martedì 12 febbraio 2013

Scoperta una porta segreta a Machu Pichu: gli archeologi vogliono entrare!


Potrebbe essere una delle scoperte più notevoli realizzate nel famoso sito archeologico di Machu Pichu, ma la burocrazia sta mettendo i bastoni tra le ruote agli archeologi.

Per più di quindici anni, Thierry Jamin, un archeologo e esploratore francese, ha vagato per la giungle del sud del Perù in ogni possibile direzione, alla ricerca di indizi sulla civiltà Inca nella foresta amazzoni e della leggendaria città di Paititi, una città perduta dell'epoca pre-inca, che si dice essere esistita ad est delle Ande, nascosta da qualche parte nella foresta pluviale.

Nel corso di diverse esplorazioni nella giungla di Madre de Dios, l'avventuriero francese ha studiato le misteriose piramidi di Paratoari, conosciute anche come Piramidi di Pantiacolla, 12 monticcioli di circa 150 metri di altezza, individuate per la prima volta dai satelliti della NASA negli anni Settanta. La stessa spedizione è stata occasione anche per uno studio approfondito delle incisioni rupestri di Pusharo, segni incisi nella roccia considerati dagli esperti come i più importanti dell'Amazzonia.

Dopo la scoperta di una trentina di siti archeologici a nordi di Cuzco, rinvenuti tra il 2009 e il 2011, che comprendono numerose fortezze, sepolture cerimoniali e centri urbani composte da centinaia di edifici e strade, Thierry Jamin ha intrapreso l'esplorazione di Machu Picchu.
Alcuni mesi fa, nel corso dello studio del sito, Jamin e il suo team hanno fatto quella che pensano sia una scoperta archeologica più straordinaria dai tempi della scoperta della antica città Inca ad opera di Hiram Bingham nel 1911. La scoperta è avvenuta grazie ad una segnalazione di un ingegnere francese, David Crespy.

Nel 2010, mentre era in visita a Machu Pichu, Crespy notò la presenza di uno strano rifugio situato nel cuore della città, in fondo a uno degli edifici principali. L'ingegnere non ebbe dubbi: stata guardano una porta, una sorta di ingresso sigillato dagli Incas. Nel mese di agosto 2011, lesse per caso un articolo sul quotidiano francese Le Figaro che parlava di Thierry Jamin e il suo lavoro in Sud America. Immediatamente decise di contattare l'esploratore francese.

Thierry ascoltò con attenzione il resoconto di Crespy, decidendo di voler verificare la storia andando direttamente sul posto. Accompagnato da un gruppo di archeologi dell'Ufficio Regionale della Cultura di Cusco, l'archeologo riusci a visitare il sito per diverse volte. Le sue conclusioni preliminari furono inequivocabili: si trattava di un ingresso in una camera sconosciuta di Machu Pichu, che gli Incas avevano bloccato per una qualche ragione ignota.

Tra l'altro, Thierry si rese conto che il sito somigliava stranamente ai luoghi di sepoltura che lui e suoi compagni avevano individuato nelle valli di Lacco e Chunchusmayo. La posizione della “porta” al centro di uno degli edifici principali della città, e che domina l'intera area urbana, ha portato Thierry a ipotizzare che possa trattarsi di una sepoltura di primaria importanza.

Le tradizioni inca e alcune cronache, come quella di Juan de Betanzos, sostengono che Pachacutec, l'imperatore considerato come il fondatore dell'Impero inca, sia sepolto proprio a Machu Pichu. E' possibile che il recinto funerario sia proprio il sepolcro dove riposa la mummia del nono sovrano del Tawantinsuyu (Impero Inca). Fino ad oggi, nessuna mummia della stirpe degli imperatori inca è mai stata trovata. Sarebbe una scoperta senza precedenti.
Al fine di confermare l'esistenza della cavità nel seminterrato del palazzo, a dicembre del 2011, Thierry e il suo team hanno presentato una richiesta ufficiale al Ministero della Cultura di Lima per effettuare delle indagini geofisiche con l'aiuto di strumenti per la risonanza elettromagnetica. Nell'aprile del 2012 il ministero ha dato il via libera agli archeologi.

Le indagini effettuate tra il 9 e il 12 aprile, non solo hanno confermato la presenza di una stanza sotterranea, ma addirittura di diversi ambienti! Appena dietro il famoso ingresso, è stata rilevata quella che sembra essere una scala.
Le risonanze hanno mostrato l'esistenza di due percorsi che sembrano portare alle varie aree del sotterraneo, tra cui una principale di forma quadrata. Inoltre, il georadar ha rilevato una grande quantità di depositi di metallo, presumibilmente oro e argento.
Infine, l'uso di telecamere endoscopiche conferma l'ipotesi che i blocchi di pietra disposti all'ingresso dell'edificio hanno la sola funzione di nascondere e proteggere il passaggio e non a sostenere le strutture edilizie come si è sempre pensato. Ampi spazi vuoti lasciano ipotizzare l'esistenza di un misterioso corridoio.
Thierry Jamin e il suo team non avevano torto. Si tratta di una porta chiusa dagli Incas per nascondere qualcosa di molto importante. Questo è forse il principale tesoro archeologico di Machu Picchu.

Tutto sembrava andare per il meglio e Thierry e il suo team si stavano preparando per il passo successivo: l'apertura dell'ingresso sigillato dagli Incas più di cinque secoli fa.
Il 22 maggio 2012, Thierry ha presentato una richiesta alle autorità peruviane per un nuovo progetto di ricerca archeologica (con scavo) per procedere con l'apertura delle camere. Ma con una risposta arrivata il 5 novembre del 2012, il Ministero della Cultura di Lima, questa volte ha dato picche!

Evidentemente, la posta in gioco è molto alta. Si parla di una delle scoperte più importanti per l'archeologia del Sud America e non si fa fatica ad immaginare le pressioni degli archeologi locali che temono di farsi soffiare la scoperta da un europeo. Inoltre, si parla di grosse quantità di oro e di argento, fatto che ha spinto i funzionari governativi ad una riflessione più prolungata. 

Ma Thierry Jamin, da buon esploratore, non si è perso d'animo e il 5 dicembre 2012 ha presentato una nuova richiesta alle autorità peruviane, invitandole a riconsiderare la loro decisione. A questo punto, non possiamo fare altro che attendere!








martedì 5 febbraio 2013

Trovate tracce di droga nelle mummie, anche i Faraoni usavano la cocaina?

I Faraoni non credo, altre persone sicuramente ne abusano!! ;)


BERLINO. Gli egiziani facevano uso di droghe? La risposta potrebbe essere positiva. Per la prima volta, infatti, scienziati tedeschi hanno rinvenuto tracce di hashish, nicotina e cocaina nei capelli, nelle ossa e nei muscoli di mummie egizie. La scoperta, senza precedenti, e' stata resa nota da Gisela Grupe, dell' Istituto di antropologia e genetica umana di Monaco di Baviera. Piuttosto sorprendente . ha sottolineato la scienziata . e' il rinvenimento dell' alcaloide cocaina, conosciuto come derivato da arbusti originari delle Ande peruviane e boliviane. Stesso discorso per il tabacco che e' stato importato anch' esso dall' America. I ricercatori tedeschi non azzardano congetture, ma non hanno dubbi sulla "positivita' " delle mummie, il che potrebbe anche costituire una fortunata convalida di teorie discusse, come quella del grande esploratore norvegese Thor Heyerdal, secondo il quale egizi e fenici furono i primi ad attraversare l' Atlantico e a "scoprire" l' America. La scoperta, fatta su mummie risalenti a un periodo compreso tra il 1070 avanti Cristo e il 395 dopo Cristo . ha detto Grupe . potrebbe portare a nuove conoscenze sui rapporti sociali in Egitto. Prima però dovrà essere accertato che le sostanze non siano venute in contatto con le mummie in periodi successivi.






lunedì 28 gennaio 2013

Lo Hobbit dell'isola di Flores: il vero volto dell'Homo Floriesiensis



Alla vigilia dell'uscita della versione cinematografica di Peter Jackson de Lo Hobbit di Tolkien, i ricercatori Australiani cercato di ricostruire il volto del fossile umano denominato Homo Floriesiensis

I ricercatori hanno analizzato  resti fossili portati alla luce dal professor Mike Morwood all'interno della grotta di Liang Bua sull'isola di Flores, in Indonesia nel 2003.

Lo scheletro individuato ha circa 18.000 anni e prende il soprannome di "Hobbit"  a causa della sua bassa statura. L'altezza stimata è di circa 130 cm. e sulla base dei resti, che sono stati scoperti si dovrebbe trattare di un esemplare di sesso femminile di circa 30 anni di età

È stato suggerito che l'individuo scoperto potesse essere un discendente nano dell'Homo erectus (o di un suo sconosciuto progenitore, comune all'Homo erectus e all'Homo floresiensis), che, capitato per caso sull'isola e restato in seguito isolato, avrebbe subito un'evoluzione separata, caratterizzata dal fenomeno del nanismo insulare, conosciuto in diversi casi per le specie animali. L'ipotesi è stata poi  scartata per le evidenti differenze fra le proporzioni degli arti e la morfologia del cranio esistenti fra H. erectus e H. Floriesiensis.
La piccolezza del cervello (solo 380 cc), il rapporto tra massa cerebrale e massa corporea e dimensioni degli arti lo rende più prossimo a Lucy, ossia all'Australopiteco Afarensis (vissuto 3,2 milioni di anni fa).

La presenza di lobi frontali sviluppati, indipendentemente dalle dimensioni, sembra comunque rendere possibile che l'industria litica abbastanza raffinata trovata insieme ai resti scheletrici, sia opera di questo uomo, e ci sono dati che provano un suo utilizzo del fuoco e la caccia di animali di grande taglia.

Il procedimento adottato per la ricostruzione del viso dell' Homo Floriesiensis nei media è spesso chiamato "ricostruzione facciale", ma in campo archeologico, si preferisce il termine "approssimazione del viso".

Il dottor Hayes ha descritto il procedimento per la ricostruzione  del volto come una sfida straordinaria data l'antichità del reperto considerato e la difficoltà di lavorare sui resti di un ominide arcaico. Il dottore ha anche dichiarato: "Mi ha preso un po' più  tempo di quanto avessi previsto, ha causato più di qualche mal di testa lungo la strada, ma sono soddisfatto sia per lo sviluppo metodologico che dei risultati finali."